Lockdown, punto e a capo. Il Paese uscito dall’isolamento ha ripreso a vivere voracemente, in barba alle regole del distanziamento, come se nulla fosse successo. E non è solo una questione di gel e mascherina, ma di responsabilità. L’istinto di sopravvivenza ha avuto il sopravvento sui timori ancestrali e i terrori mediatici. La fine della quarantena è coincisa con l’inizio della bella stagione, foriera di allettanti speranze e promesse di ripresa. Quella dell’economia innanzitutto. Il Paese fiaccato dalla maledizione pandemica è un Paese profondamente cambiato, ma nel contempo è un Paese che ha reagito e ha riacquistato uno smalto incredibile. Almeno in apparenza. L’incubo primaverile è stato molto presto rimpiazzato dal sogno di una nuova estate che dovrebbe esorcizzare la virulenta ripresa autunnale, quella prevista dagli scienziati che le hanno tentate tutte pur di mettere il mondo in guardia, ma non in gabbia. Il riposo forzato ha rigenerato la popolazione messa alla prova, quella dei nervi soprattutto. Il giro di boa si è rivelato provvidenziale per taluni tossico per altri. Come tutti i fenomeni vitali ha in sè la dicotomia. Di sicuro l’Italia è riuscita, anzitempo, a venire fuori dalle secche di una monotonia esistenziale che, comunque sia, avrà riflessi postumi sui comportamenti di una comunità costretta sbrigativamente a cambiare abitudini di vita consolidate e a familiarizzare col distanziamento sociale che alla lunga potrebbe renderci asociali. La responsabilità dei primi tempi, quando il virus faceva molta paura e ancor più molte vittime, si è presto mutata in leggerezza ed evasione. E’ il fascino della trasgressione. E’ l’effetto, collaterale, della costrizione prolungata al domicilio coatto, alla convivenza domestica che, si sa, esacerba i rapporti, foraggia le tensioni tra chi condivide lo stesso tetto ma non più lo stesso progetto. Pertanto l’Italia si è rimessa in moto, e non solo per andare in vacanza quanto per raggirare lo spettro della crisi e gabbare quello del Covid-19.