Colpita dal titolo Napùl ho iniziato a leggere con curiosità le pagine del libro di Marco Perillo edito da Alessandro Polidoro Editore. Ogni pagina è una sferzata violenta sul volto per tanti motivi: Perillo racconta Napoli, come del resto è solito fare nei suoi libri, ma è una città diversa da quella delle leggende, dei racconti, delle storie così bene cantata e contata dallo scrittore e giornalista napoletano. Sono scrosci di pioggia sul volto, fasci di luce abbaglianti, ferite aperte ricoperte di sale le sue parole, le sue pagine, i suoi personaggi. Un racconto, anzi quindici storie, che consegnano al lettore sconcerto, inquietudine, ma anche volti e storie “tipiche” della nostra città.
Anticaglia, la prima storia, sospesa tra mito e realtà è il primo tassello, e forse anche il più bello, di questo viaggio surreale e reale ad un tempo. I protagonisti immersi nel mito, ma terribilmente reali, immergono il lettore nelle viscere della città così impregnata di storie e miti: arte, storia, e leggende si mischiano in un percorso avvincente e che cattura l’attenzione con forza.
Conosco bene Perillo ed ho gustato i suoi libri così da scoprire ogni angolo della mia amata Napoli, ma qui l’autore mi ha spiazzata per la durezza utilizzata, per la volontà di offrire il lato oscuro dell’essere umano così bene accolto e trattenuto dai luoghi della nostra città.
Il collante è un personaggio sullo sfondo, una suggestione, una voce fuori campo, un punto di vista ed anche questa idea si dimostra vincente perché ne deriva una narrazione unica nel suo genere, sempre diversa e leggibile da tante angolazioni diverse.
Tra le pagine incontriamo i personaggi più disparati: un ragazzo che rinverdisce un antico mito ellenico; baby gang in azione contro un autobus fermo nel traffico; un padre malavitoso che osteggia il fidanzato della figlia; i ricordi dell’11 settembre filtrati da chi di persona ha conosciuto gli attentatori; una madre costretta a far arrestare il figlio violento e tossicodipendente; il tragicomico destino di un boss malavitoso; quello beffardo di una trans nel giorno della strage di Parigi e altro ancora, storie di un realismo grottesco, drammatiche e comiche, narrate attraverso una lingua vivida, commistione tra dialetto e italiano, voce sincera di un mondo che merita di essere ascoltato.
A fine della lettura del libro capisco appieno il titolo Napùl, un nome che sta a metà tra Napoli e Kabul, che è una metafora per raccontare una città in guerra quotidiana, a cavallo tra presente e passato.
Solo chi conosce bene la storia di Napoli la può sviscerare in modo così perfetto e Perillo, forte del suo bagaglio culturale, riesce dove tanti cadrebbero in una retorica fuori luogo.
Un libro che non ti lascia indifferente, ma ti affascina per la sua forza e per la sua capacità di portare l’attenzione sul carattere unico e magico della nostra città, un paradiso abitato da diavoli, come diceva Goethe qualche secolo fa e che alla luce della lettura diventa l’antro perfetto del diavolo. Da leggere e rileggere.