Torna a mordere in Italia, in modo virulento, il Coronavirus, denominato Covid-19. L’estate ha lasciato in eredità comportamenti privi di responsabilità come se l’Italia, ed il mondo, non stesse vivendo una epidemia di proporzioni mai viste.
Aver vissuto un periodo di convivenza forzata e controllata con un virus che sembrava depotenziato e a bassa intesità nel periodo estivo, inevitabile conseguenza del lockdown a cui l’Italia si era sottoposta in primavera, ha fatto dimenticare le precauzioni e il virtuosismo comportamentale che avevano caratterizzato il periodo primaverile.
Il virus, purtroppo, oggi circola in tutto il Paese. Sono otto le Regioni, alcune delle quali interessate in forma marginale in primavera, che hanno riportato un aumento esponenziale nel numero di casi diagnosticati rispetto alla trascorsa primavera.
In Italia, dall’inizio dell’epidemia di Coronavirus, almeno 327.586 persone hanno contratto il virus con 36.002 decessi.
I provvedimenti combinati tra ministero della Sanità e regioni hanno messo ancora una volta in evidenza, a fronte di una positiva risposta del Sistema Sanitario Nazionale, un punto critico che in qualche modo dovrà essere affrontato nel prossimo futuro. In alcuni i settori, soprattutto in quelli deputati alla tutela della salute pubblica, le azioni di contrasto non possono essere frammentate nei mille rivoli regionali ma vanno assolutamente centralizzate e ricondotte a regia unitaria.
La riapertura delle scuole e la ripresa delle attività sportive, in modo particolare il campionato di calcio di serie A hanno evidenziato, come del resto era prevedibile, che la realtà quotidiana rischia di travolgere l’apparato normativo posto a difesa e tutela della salute pubblica in tali settori facendo apparire obsoleti e superati provvedimenti emanati e condivisi solo poche settimane prima.
Il virus circola e si annida ovunque, pertanto solo interventi di contrasto coordinati sul piano nazionale possono evitare vere e proprie sciocchezze come è successo per il caso della partita di calcio tra la Juventus ed il Napoli. Senza entrare in inutili dettagli, c’è un punto insuperabile, nessuna attività umana può prevalere rispetto al diritto alla salute.
Altra cosa è tentare di individuare protocolli comportamentali da rispettare per non far morire il sistema produttivo.
Ma anche il sistema produttivo deve imparare a fare la propria parte. Le movide, gli assembramenti, la calche da concerto appartengono ad un altro tempo e non a questo, difficile e complesso. I primi ad essere chiamati a far rispettare, cosa che nella gran parte dei casi fanno, sono i gestori dei pubblici esercizi con l’ausilio eventuale delle Forze dell’Ordine.
Se si superassero le soglie della decenza e della pericolosità le porte di un nuovo lockdown sono aperte come è successo in Israele. E sarebbe più duro e più capace di creare conseguenze infauste e negative su imprese, aziende e attività già provate ed esauste.
L’Italia non può permetterselo. Il Paese ha bisogno di concentrare i propri sforzi su un vasto programma riformatore idoneo a innescare un processo di sviluppo permanente e duraturo utilizzando le ingenti risorse messe a disposizione dall’Unione Europea, unica vera istituzione in grado di aiutare gli antichi stati del Vecchio continente.
Tra BCE e fondi di vario tipo, Mes, Sure e Recovery Fund la vecchia Europa ha le risorse per rilanciare la propria economia e la propria impareggiabile cultura che si poggia su valori non superati.
Ovviamente l’Italia è chiamata a fare uno sforzo eccezionale, come nell’ultimo dopoguerra, per abbattere una pressione fiscale, ostacolo di primaria grandezza alla ripresa, che è pari al 43,2%, in crescita di 1,8 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, nonostante la marcata riduzione delle entrate fiscali e contributive.
Inoltre il differenziale ta Nord e Sud italiano è un tema non più rinviabile. Lo choc da coronavirus, secondo l’ultimo studio della Svimez, la società per lo sviluppo del Mezzogiorno, ha colpito un Sud italiano già in recessione incapace di ritornare ai livelli precedenti la crisi finanziaria del 2008, sia di prodotto che di occupazione. La strada per riportare il Sud in una condizione di estrema parità con il Nord del Paese è lunga ma vanno messe in campo politiche idonee a riempire il gap per consentire al Nord di avere un mercato interno più vasto e ricco per le proprie produzioni.
Altra strada non c’è più.
Il Covid-19, se non ci ucciderà, sarà stato utile a superare divisioni che non hanno più ragioni di esistere.
Il risorgimento lo consegneremo definitivamente ai libri di storia e, forse, ne inizierà finalmente un’altra.