Durante il primo lockdown nazionale si percepiva per lo più una sorta di sensazione generale di ambivalenza.
Da una parte maggiore solidarietà, comprensione, e coesione sociale (basti pensare alle canzoni ed alle fiaccolate organizzate dai balconi delle abitazioni, i video casalinghi di attori e gente comune, lo slogan social – pedagogico che serviva a rafforzare la morale collettiva del “tutto andrà bene”).
Dall’altra parte, per le strade delle città, già si avvertiva però qualcosa di molto diverso. Le difficoltà economiche dei commercianti, la sensazione di precarietà generale, la riproduzione delle disuguaglianze sociali ed il manifestarsi graduale di una nevrosi collettiva, di uno smarrimento sociale dovuto anche alla clausura domestica forzata (es. scuole chiuse e figli costretti a stare casa con uno dei genitori impossibilitati ad andare a lavoro).
Dopo i primi due mesi di chiusura era ormai evidente fra le persone quindi anche la configurazione di un maggiore egoismo, individualismo e di un disequilibrio psicosociale. Ad esempio fra la folla di persone che litigava nella fila davanti alla farmacia o al supermercato, ma anche fra quelle che discutevano animatamente con il personale del pronto soccorso.
Ciò che si prospetta, in questo preciso momento storico, con l’arrivo della seconda ondata del virus, sembra amplificare ulteriormente la dimensione del disagio e della dispersione endemica che questa crisi ha provocato.
Stati d’animo di rassegnazione, rabbia e disperazione, cenni di rivolta sociale, ma soprattutto la consapevolezza dell’incapacità di fronteggiare la situazione da parte del governo e di una classe politica che avrebbe potuto organizzarsi meglio ed in maniera preventiva per limitare almeno i danni, almeno questa volta.
La prima ondata era imprevista ed ha colto tutti di sorpresa e senza preparazione, questa seconda invece era da tempo preannunciata e allora forse qualcosa di più si poteva e si doveva fare in termini di prevenzione situazionale e di programmazione generale.
A ciò si aggiunge il terrorismo mediatico pandemico, la confusione generata da pareri e indicazioni sempre discordanti di medici, sindaci, politici e governatori, un sistema sociale e sanitario malsano, proiettato verso il collasso.
L’unione e la coesione sociale tanto invocata ed acclamata durante il primo lockdown, sembra essere ormai pura utopia, così come la parvenza di un effetto placebo legato all’interiorizzazione ed alla comprensione delle categorie di linguaggio utilizzate da parte degli esperti, che di certo non appaiono rassicuranti, proprio nella funzione specifica di garantire forme di controllo sociale. Ciò a cui assistiamo adesso si ripercuote sulla salute psicofisica delle persone e sul loro malessere sociale e individuale. La drammaticità della situazione appare ancor più evidente nel calo drastico di quelle manifestazioni residue di solidarietà che avevamo intravisto nella prima fase dell’epidemia, le quali ormai lasciano spazio sfrenato all’egoismo ed alla salvaguardia dei propri interessi personali, a tutela di uno spirito di sopravvivenza individuale che va a discapito del benessere collettivo e degli “altri” individui intesi come comunità.
Il quadro che emerge adesso è legato in sostanza al proliferarsi di una dimensione di insicurezza esistenziale relativa al senso stesso “dell’oggi e del domani”, un senso profondo di sfiducia sociale e di mancanza di speranza come prospettiva valoriale alla quale orientarsi, aggrapparsi come contesto di senso.
Risulta chiaro che prima della rigenerazione economica, politica e culturale, se e quando ci sarà, gli individui ormai stanchi, frustrati e stremati, dovranno fronteggiare una fase di interregno psicosociale molto complessa e instabile. E’ di questo che a mio avviso bisognerebbe prendere coscienza al fine di attivarsi concretamente a livello di welfare, di assistenza reale e materiale, economica, psicologica, politica e culturale. Bisognerebbe prepararsi di conseguenza per intervenire adesso attraverso le giuste connessioni tra le varie reti del sistema globale ed attraverso un’oculata analisi delle variabili sociali e territoriali. Andrà tutto bene? E’ difficile crederci in questo momento, forse però non dipende soltanto da noi. E’ difficile aver fede nella ripresa, nella rinascita sociale, né tantomeno si prevedono fiaccolate dai balconi a questo giro