I morsi della crisi si fanno sentire soprattutto sotto le feste. Sarà un Natale amaro, come è stata già la Pasqua, per il maggiore e più antico distretto dolciario d’Irpinia e tra i più rinomati d’Italia, quello del torrone di Dentecane e dell’Irpinia.
Tradizione secolare, tramandata di padre in figlio. Le aziende della filiera, rinomata nel mondo, sono a conduzione familiare e non hanno rivali. Solo il Covid-19 poteva mettere in ginocchio il florido comparto che dà lavoro a centinaia di famiglie nel comprensorio della Media Valle del Calore, in provincia di Avellino.
Bisogna ritornare indietro nel tempo, esattamente a un secolo fa e quindi alla pandemia di ‘spagnola’, per azzardare un paragone con quella attuale del coronavirus che ha contagiato e condizionato fortemente vendite e consumi di un prodotto di ricorrenza come il torrone, fatto secondo una ricetta artigianale inimitabile da quella industriale, e il panettone, sia dolce che rustico, realizzato con eccellenze tipiche del territorio.
“Il calo registrato è netto, vertiginoso– ammette Federico Di Iorio, una laurea in Giurisprudenza, al timone dell’omonima impresa fondata nel 1750 in via Roma a Dentecane dal trisavolo Vincenzo-. La pandemia è un fenomeno mondiale che ha frenato le esportazioni alimentari. Il mercato americano è fermo, e così quello russo. Un colpo durissimo per noi che lavoriamo anche e soprattutto con le commesse straniere. Il mercato nazionale va a rilento, altrettanto quello locale. La grande distribuzione ha più che dimezzato gli acquisti di stock di dolci natalizi”.
E così a farne le spese sono state le storiche aziende irpine che negli anni hanno conquistato i palati di mezzo mondo e adesso sono rimaste con la bocca asciutta per il crollo senza precedenti di domanda.
“Si lavora alla giornata– esclama sempre Federico Di Iorio con un tono di voce che tradisce l’amarezza-. Le vendite online non compensano e non compenseranno mai quelle in presenza. Persino i clienti dei paesi del circondario sono andati in confusione con tutti questi decreti che alla fine hanno penalizzato solamente le aziende dell’entroterra e hanno rinunciato agli acquisti della tradizione”.
Continuare la produzione, nonostante i morsi fatali della pandemia, equivale a garantire l’occupazione, vitale per assicurare reddito alle famiglie impiegate nel comparto dolciario. Sono quattordici le maestranze che lavorano a pieno ritmo nel laboratorio artigianale dove Federico Di Iorio affiancato da papà Vincenzo e dalla sorella maggiore, Anna, da decenni garantiscono qualità al famoso ‘copeto‘ mandorlato e nocciolato.
Cambia l’azienda ma non cambia affatto lo sconforto a proposito dell’andamento delle vendite. Gerardino Garofalo, omonimo ed erede del maestro copetaro di Dentecane, inventore del ‘pantorrone’, scomparso l’estate scorsa, traccia un bilancio altrettanto infausto. Dopo la doccia gelata pasquale del lockdown, i produttori dolciari confidavano nella ripresa natalizia, invece. Ester Nardone, brillante imprenditrice a capo dell’azienda di famiglia, sempre a Dentecane, lamenta come i suoi colleghi locali il crollo del fatturato.
Fatturato dimezzato pure per Gianni Festa che guida l’opificio ultrasecolare di Montemiletto e dà lavoro a ventidue operai. “La batosta maggiore è stata col mercato estero– sostiene il giovane imprenditore che produce la specialità del ‘monachino’, torrone morbido, ispirato da un frate cappuccino-. Abbiamo dovuto convertire in parte la produzione e puntare sull’e-commerce con l’allestimento di un sito per dare una boccata d’ossigeno alle vendite natalizie. Così abbiamo limitato i danni causati dal calo di commesse della grande distribuzione. Non aspettiamo certo i ristori governativi. E comunque sia, non potranno mai compensare le perdite subite in questo anno catastrofico”.