La vita a volte è come avere un casco troppo largo e una moto troppo potente.
Quando stai per sciogliere i cavalli del motore e sei sul punto di respirare libertà dopo aver dato un ulteriore colpo di acceleratore, inizi a non vedere più e questa libertà, un pò effimera, sembra di non saperla gestire perché, essa stessa, non ti fa vedere.
Sei lì, senti tutto, ogni brivido, ogni emozione e poi senti un vuoto, il vuoto che non ti fa vedere, come se tutto dipendesse dalla vista.
Per tutte le volte che ho preferito chiudere gli occhi per non vedere, soprattutto per non vedere le mie paure, ora ho il desiderio di affrontarle quelle paure, ma il casco era troppo grande.
Sembra un alibi o una maledetta e insignificante scusa, ma questa volta non lo è.
E’ come se qualcuno, più grande di me, mi stesse dando l’opportunità di provare ad avere coraggio, ma non di regalarmelo.
Non riesco a smettere di pensare a questo viaggio, a questo casco troppo grande, alla puntualità nemica della logica e a come si trasformi tutto in una vita, come un caso che non esiste, come un mare troppo mare, come un sogno troppo effimero.
Nella mia vita credo di aver viaggiato con un casco troppo grande per troppe volte, forse come segno di protezione o semplicemente di negazione di responsabilità di avvenimenti troppo grandi da poter supportare e non sopportare, perché di sopportazione il mio bagaglio è quasi completamente pieno, nonostante questa età che, in un certo qual modo, dovrebbe essermi complice e favorevole.
In fondo, è anche vero che siamo come delle molle che, in balìa del tempo, se non scatta qualcosa dentro di noi stessi, non siamo in grado di andare avanti, rimaniamo lì, fermi e immobili, prigionieri di questo mondo, ma segnatamente prigionieri di questo momento che non siamo in grado di superare e tanto meno di vivere.
Stentiamo muovendoci gattonando, come fossimo bambini non ancora in grado di camminare.
Ed in questo modo ci diciamo solo un’altra bugia, perché siamo in grado di camminare, sappiamo addirittura correre, ma corriamo sempre dietro cose, ecco questo è il punto, corriamo dietro mentre invece dovremmo correre incontro a quelle cose, a quelle persone, dovremmo sentire dentro il senso dell’incontro, dello scontro e non del senso unico.
Uno dei sensi della vita è riuscire a scendere da quella motocicletta con quel casco troppo grande, dopo un’accelerata che ti ha fatto palpitare il cuore a mille, con le gambe ancora vibranti, dopo minuti, dopo ore e desiderare di avere un casco che sia della giusta misura per riuscire non solo a sentire, ma a vedere tutto il bello che la vita intorno può ancora e sempre regalare.