Leggere poesia è come ascoltare musica. Matita e note a margine (invece che cuffiette) per coltivare l’empatia, l’introspezione, la riflessione, l’immedesimazione.
Attraverso rime, assonanze, figure retoriche, suoni e ritmi, versi liberi, esploro quel terreno – (s)conosciuto – che è la mia interiorità.
In modo desultorio, per scarti e scorci, squarci luminosi, ombre, usci scossi dal vento, vuoti che si aprono tra gli astri, spazi domestici dove regna la paura, boschi per vedere e sentire senza essere visti né sentiti, luna, fiori, neve, alberi, mi immergo in questo fuoco e ghiaccio, scorro fogli-foglie.
Le poesie di Frost mi trasportano dove non sapevo di dover o di voler andare, su bordi d’abissi sconfinati, con animo appartato, in stato di abbandono, una fitta in sogno.
Libeccio che scuote l’anima, sparpaglia poesie sul pavimento, stana il poeta – il poeta stana l’uomo.
Nuda voce di chi deve far da conto con se stesso, senza perdere negli occhi lo stupore, il mistero dell’esistenza.
Quanta verità in un sol rigo, “Ma il bello sta nel modo in cui lo dici”.
*
Nessun rumore accanto al bosco, solo
la lunga falce sussurrava al suolo.
Sussurrava cosa? Va’ a saperlo;
riguardava magari il sole caldo,
o forse invece l’assenza di rumore –
ecco perché sussurri e non parole.
*
Il fuori buio guardava dentro, a lui,
di tra la galaverna, quasi scissa in stelle,
che s’apprende sul vetro in stanze vuote.
A impedire il rimando dei suoi occhi
era il lume inclinato nella mano.
A impedirgli il ricordo del perché
fosse in quel posto che scricchiava era l’età.
*
Si può capire che cosa turberà
questo mio sonno, sempre che sonno sia.
*
Prendiamo le nostre distanze dietro vaghe parole sprezzanti
ma il cuore, oh com’è agitato
finché non verranno a stanarci.
*
Questo racconterò con un sospiro
chissà quando da una distanza immensa:
due strade divergevano in un bosco
e io – io ho preso quella meno battuta
e questo ha fatto tutta la differenza.