Il pacchetto climatico “pronti per il 55%” è un insieme di proposte di legge con lo scopo di diminuire l’impatto ambientale dei paesi membri dell’unione Europea.
Dire che questo pacchetto dice tutto e niente sarebbe un complimento: si limita a fissare il 2030 come termine ultimo per ridurre le emissioni di CO2 delle aziende, aumentare la quantità di centrali che producono energia pulita, aumentare il numero di autovetture non inquinanti, tasse e imposte aumentate per le aziende che inquinano più di quanto è loro “concesso” e via dicendo.
Sempre la solita solfa: un disegno di legge talmente astratto e poco trasparente da sembrare uno slogan che qualche attivista con un megafono e troppo tempo libero urlerebbe in piazza.
L’unione europea si limita a imporre: non offre aiuti, non offre sussidi, non presenta un piano di accordi con le aziende che devono adattarsi nei prossimi sette anni, stravolgendo la base del sistema con cui hanno operato per più di un secolo.
Insomma, gli esperti che hanno ideato questo pacchetto si sono concentrati così tanto sul quando e sul quanto che hanno finito per trascurare completamente il come.
Che si sia europeisti o no, è innegabile che sia troppo conveniente per l’Europa togliere la sovranità agli Stati quando bisogna decidere quali sacrifici compiere e ridargliela quando è il momento di compierli.
Se tutti devono convertirsi alle macchine elettrice entro il 2035, anno della presunta cessazione di tutti i mezzi a benzina e diesel, come faranno a sostenere i costi di una simile vettura?
Se l’importazione di combustibili inquinanti viene tassata ulteriormente, come faranno coloro che necessitano di un’autovettura per lavorare e che vivono in paesi dove la benzina viene al 100% importata?
Se le aziende devono convertirsi all’uso di risorse energetiche “più pulite”, come possono abbandonare in meno di un decennio un sistema che le ha sostenute per più di un secolo?
Queste e molte altre sono le domande a cui l’Europa deve rispondere, per una volta, con trasparenza