“Quando io leggo in Plutarco, ho schifo, noia di quest’età di imbelli” . E’ così che Verdi apre l’opera lirica “I Masnadieri”.
Ma chi è Plutarco?.
Filosofo straordinario del primo secolo dopo Cristo, oggi sconosciuto ai molti, considerato, fino alla metà dell’ottocento, uno dei più grandi maestri di saggezza, il simbolo per eccellenza della virtù.
Grandi scrittori sono stati influenzati dal pensiero di questo filosofo greco, in particolar modo dal Rinascimento in poi, con l’avvento della carta stampata.
Erasmo da Rotterdam poneva Plutarco al terzo posto dopo la Bibbia e il Vangelo “perché non si può trovare nulla di più elevato”. Rousseau si augurava di chiudere la sua vita come l’aveva iniziata,”leggendo Plutarco”. Beethoven scriveva, soffrendo per la Sua sordità, “più volte ho maledetto il Creatore e la mia esistenza, Plutarco mi ha indicato la strada della rassegnazione”.
Foscolo lo definiva “divino”. Leopardi “il più filosofo di tutti i filosofi greci”. Nessuno è stato, in ogni tempo, così attuale come Plutarco.
In questo periodo ho volentieri riletto questa breve ma intensa opera “l’arte dell’ascoltare”, opera rientrante nei Moralia rivolta principalmente ai giovani.
Prima di ragionare sull’arte di ascoltare e quindi di tacere, Plutarco si sofferma sull’udito, come il senso più esposto agli stimoli esterni ed a quelli interni.
Per Plutarco gli altri sensi, la vista, il tatto, il gusto, l’olfatto, non producono gli stessi turbamenti che l’udito provoca nell’anima. L’udito è tra tutti i sensi il più legato alla ragione, mentre gli altri, per loro natura, sono accessibili dal vizio lasciandosi attraversare fino a colpisce l’anima, l’udito è l’unico senso sensibile alla virtù.
Plutarco fa un parallelismo tra i lottatori ed i giovani in quanto anche a quest’ultimi dovrebbero essere applicati i paraorecchi usati dai lottatori “per proteggerli dai discorsi nocivi”.
I giovani posso trarre dall’ascolto non solo un grande giovamento ma anche un grande turbamento. Prima di ascoltare il “male” devono sapere che cosa è il “bene” per poterlo distinguere dal male.
Come il bambino compie un lungo tirocinio prima di cominciare a parlare, incamerando ed assimilando ciò che ascolta, così prima che nell’arte di parlare occorre esercitarsi in quella di ascoltare.
Il silenzio come valore, come momento di crescita spirituale, come apprendimento.
Oggi si parla molto e si ascolta poco.
Plutarco parla dell’arroganza, della presunzione, del protagonismo e dell’invidia come i difetti in cui incorrono molti ascoltatori e da cui bisogna guardarsi
“Bisogna evitare di agitarsi e di abbaiare ad ogni battuta, aspettando pazientemente che l’interlocutore abbia finito di esporre il suo pensiero, anche se non lo si condivide, senza però investirlo subito con una sfilza di obbiezioni, ma concedendogli ancora un po’ di tempo perché possa integrare, chiarire o correggere quanto detto, ed eventualmente ritrattare qualche frase affrettata. Chi, infatti, passa subito al contrattacco non solo interrompe e spezza il logico fluire del discorso, ma non ci fa una bella figura e finisce per non ascoltare e non essere ascoltato. Se invece è abituato a controllarsi e a rispettare gli altri mentre parlano riesce a trarre da ogni discorso qualche spunto che può tornargli utile, a discernere meglio e a smascherare il vuoto e le falsità dell’interlocutore, offrendo l’immagine di una persona amante delle verità, non dei battibecchi, e per di più riflessiva e aliena dalla polemica”.
Un buon ascoltatore, nei riguardi di colui che parla, dovrà “prestargli attenzione con animo pacato e ben disposto, come se fossimo invitati ad un banchetto sacro o alla cerimonia iniziale di un rito religioso, approvando chi si esprime bene e appropriatamente, o quantomeno apprezzando la buona volontà di chi espone in pubblico le proprie opinioni e cerca di accattivarsi l’uditorio utilizzando gli stessi ragionamenti che hanno convinto lui”.
I buoni risultati di un discorso sono frutto di studio, di impegno e di duro lavoro, perciò bisogna trarne motivo di ammirazione.
Un ascoltatore intelligente sa sempre trarre profitto da chi parla, sia che abbia successo che fallisca, perché certi pregi e certi difetti – quali la povertà concettuale e di espressione, l’atteggiamento incivile, la smania di accattivarsi a tutti i costi il consenso, accompagnata da una rozza e ridicola ostentazione di sé, si colgono in modo più evidente negli altri quando ascoltiamo che non quando parliamo.
“dobbiamo giudicare prima noi stessi che colui che parla, chiedendoci se anche a noi non possa accadere di incappare inconsapevolmente in qualche simile errore. È facilissimo biasimare gli altri, ma è cosa sterile e vuota se questa critica non la volgiamo anche verso noi stessi e se non c’induce a correggere o ad evitare analoghe scorrettezze”.
Sulle domande, poi, da porre all’oratore, Plutarco paragona l’ascoltatore a chi, invitato ad una cena, deve mangiare ciò che gli viene imbandito e non mettersi a chiedere altro o a criticare.
Le domande, afferma Plutarco devono essere sempre fondate e pertinenti all’argomento (non retoriche con risposta già implicita) e chi le formula deve sempre dare il tempo e la possibilità di rispondere, comportandosi come un bravo padrone di casa.
Un ascolto corretto, attento e meditato, porta a conoscere meglio se stessi, a controllare le proprie passioni e a raggiungere quell’equilibrio che dovrebbe essere la meta di ogni uomo.
Se poi l’ascolto comprende anche i discorsi di un filosofo la strada per raggiungere quello scopo sarà più facile e la visione della vita più solida e completa.
Sui contenuti di un discorso è preferibile usare uno stile privo di orpelli e parole vuote evitando che gli ascoltatori possano restare affascinati solo o principalmente dall’effetto esteriore.
Bisogna prestare attenzione ai contenuti cercando l’essenza del discorso e sorvolando sulle parole forbite e seducenti. Non basta ascoltare, dice Plutarco, ma cogliere, al di là delle parole, il mondo interiore di chi ci sta di fronte.
Dobbiamo saper leggere nell’animo delle persone.
I discorsi, i loro errori, i loro difetti, sono anche i nostri sono quelli di tutti, perché in ciascun uomo, anche se diverso dagli altri c’è l’intera umanità “come negli occhi di chi ci sta davanti vediamo riflessi i nostri, così deve essere con le parole: i discorsi degli altri siano i nostri stessi discorsi. Se teniamo presente questo eviteremo di disprezzarli o di trattarli con eccessiva severità e quando sarà venuto il nostro turno staremo più attenti nel parlare”.
In un discorso non dobbiamo eliminare le passioni, “sarebbe un andar contro natura” dice Plutarco, ma dosarle opportunamente.
Il filosofo precisa che “In tutte le passioni c’è qualcosa di utile che va conservato: si tratta solo di eliminare quel che vi è di eccessivo. Persino l’ira, se misurata può dare una mano al coraggio, e l’odio verso tutto ciò che è malvagio aiuta la giustizia. Come nella musica l’armonia è data da un’opportuna e calibrata mescolanza di suoi gravi e acuti, così nell’anima, in virtù della ragione, deve prodursi il giusto equilibrio delle passioni”
(Pietro Metastasio “Un bel tacer talvolta ogni dotto parlar vince d’assai”).