Per definizione il Cibo è nutrizione; grazie ad una sempre maggiore diffusa consapevolezza oggi a livello mondiale si parla di Cibo anche per indicare emozione, conoscenza, integrazione, territorio, condivisione; per riassumere il senso più profondo dei luoghi ed esprimere in un solo parametro la maggiore capacità identitaria di un Paese.
In larga misura determinato dall’effetto di trascinamento provocato dall’Expo di Milano 2015 (“Nutrire il Pianeta. Energia per la Vita”), è l’insieme di approfondimenti concettuali che negli ultimi anni anche in Italia hanno coinvolto il Cibo, in forme e numeri originariamente impensabili ma capaci di superare i temi originari (territorialità e tradizione) per fare capolino in nuovi ambiti (come la neuro gastronomia o il food design, per citarne alcuni tra quelli dotati di maggiore fascino); più in generale, arrivando a permeare in maniera sempre più massiccia ogni aspetto della vita quotidiana e raggiungendo contesti anche molto lontani dall’alimentazione in senso stretto.
Quella che è stata definita Food Mania ha portato anche in Italia il Cibo al centro delle conversazioni individuali e collettive (riempiendo la dimensione on line e off line); ha contribuito alla nascita e all’affermazione di nuove figure professionali (food blogger/influencer/key opinion/key consumer) e di nuove modalità di comunicazione (foodtelling) e di diffusione di sistemi produttivi (foodformat); ha suggerito l’affermazione di nuovi modelli alimentari (vegan/poke/streetfood) destinati a superare i confini tradizionali (le cucine territoriali) per divenire paradigmi identificativi delle diverse generazioni (Generation X, Millenials, Generazione Z).
Questa rinnovata, approfondita e continua riflessione sul Cibo non poteva non coinvolgere considerazioni più prosaiche in termini di punti di PIL nazionale, livelli occupazionali e quote di export; quindi sia in termini di interazioni tra settori economici (naturale la connessione con il turismo), sia in termini di dinamiche macroeconomiche, come lo sviluppo delle aree interne/centri minori, per i quali si è compreso il ruolo di volano che l’agroalimentare può assumere.
Con specifico riferimento al comparto ristorativo, i recenti dati della ricerca Deloitte Financial Advisory (ottobre 2020) individuano per il 2019 in €236 miliardi (con un incremento del 6,3% rispetto al 2017) e nel 18 %, rispettivamente, il valore assoluto e la quota complessiva della cucina italiana per il cd. Global Full Service Restaurant Market (“All European cuisines together represent 44% of the Foodservice market in the first 5 European countries – France, Germany, Italy, Spain and the UK; the Italian cuisine alone accounts for more than 30% of the total European cuisines market share – 15% vs. 29% – and is expected to keep growing in the future”).
Non v’è dubbio che la cucina Italiana abbia le caratteristiche per rafforzare a livello europeo e mondiale il proprio posizionamento – varietà, tipicità territoriale, ridotta manipolazione degli alimenti, convivialità del consumo. Ma il Cibo italiano merita e chiede protezione contro aggressioni numerose e diversificate.
A indebolire il Food&Beverage nazionale contribuiscono non soltanto tutti gli illeciti agroalimentari perpetrati prevalentemente in Italia – frodi, contraffazioni e agro piraterie – come ricostruiti nel recente DDL 601 recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri, cui si deve, per un verso, il riconoscimento del patrimonio gastronomico, quale (nuovo) bene giuridico meritevole di tutela, e, per l’altro la riorganizzazione dei reati in materia agroalimentare (libro II del Titolo VIII del codice penale ove è stato aggiunto il capo II bis) grazie alla previsione di nuove figure criminose collocabili all’interno della filiera agricola (sin dalle condizioni di allevamento degli animali o nell’uso dei prodotti chimici in campo) e agro commerciale, alla revisione del sistema sanzionatorio, alla sistemazione organica della responsabilità delle persone giuridiche.
Accanto alle ipotesi di contraffazione/falsificazione in violazione dei diritti di proprietà intellettuale e/o industriale e i relativi diritti di sfruttamento commerciale, si collocano – non meno pericolose – le pratiche di imitazione (rilevate per lo più all’estero) che si sostanziano, invece, nell’introduzione sul mercato agroalimentare di prodotti per genere e aspetto, molto simili, ma volutamente non identici agli originali italiani, e per le quali può parlarsi di concorrenza sleale confusoria.
Questo è l’Italian Sounding – inteso come insieme di pratiche evocative di prodotti, marchi, denominazioni, finalizzate ad attribuire “italianità” a prodotti alimentari non italiani, ricreando somiglianze rispetto agli originali con la finalità di generare aspettative su prodotti privi della caratteristica dell’origine italiana, ampiamente diffuso oltre confine (USA in primis dove si consuma il 30% di tutto l’Italian Sounding mondiale) e dal valore recentemente confermato in oltre 100 miliardi di euro con un aumento del 70% nel solo ultimo decennio, pari a tre volte l’export alimentare italiano – contro il quale da sempre sono schierati quei ristoratori italiani che, nel mondo, rappresentano nel contempo gli ambasciatori naturali dell’Italian Taste e i difensori dell’Autentica Tavola Italiana.
In aiuto di questi ristoratori interviene ITA 0039 / 100% ITALIAN TASTE CERTIFICATION attualmente l’unico protocollo che permette di certificare in modo oggettivo l’autenticità dei ristoranti italiani all’estero controllandone il menù, le tecniche, le materie prime, la formazione del personale.
Patrocinato dal MIPAF e realizzato da ASACERT in collaborazione con COLDIRETTI, Filiera Agricola Italiana, il protocollo si avvale di un’applicazione utilizzabile su dispositivo mobile che consente agli utenti l’individuazione, per ciascun Paese, dei ristoratori certificati: un indirizzario senza punteggi dove il rispetto del disciplinare tecnico tutela immediatamente i consumatori ma è destinato a generare ulteriori riflessi positivi traducendosi in un sostegno all’export e alla diffusione del modello alimentare italiano.
Il protocollo è uno strumento che può rivelarsi ancor più prezioso per la promozione della cultura enogastronomica italiana soprattutto nelle aree distanti dall’Italia non solo in termini geografici, e al quale PROMOItaliafood ha aderito come partner per la Cina dove si è fatta carico della campagna di individuazione dei ristoratori che “battono” bandiera italiana senza averne le caratteristiche e del programma di sensibilizzazione di questi ristoratori al rispetto dell’autenticità italiana. L’obiettivo è di utilizzare il protocollo per innescare in Cina meccanismi virtuosi sempre più ampi, e quindi, attraverso l’ampliamento della platea dei ristoratori che seguono disciplinari italiani, incrementare l’importazione in Cina di prodotti alimentari italiani originali e moltiplicare l’adozione di modelli/percorsi di formazione professionale di impronta italiana, non senza considerare che l’autentica cucina italiana rappresenta la migliore cartolina dei territori italiani e quindi occasione imperdibile anche ai fini del futuro incoming turistico.