Quello che non so di me.
È stato un dono, oltre che un privilegio, leggere le poesie di Antonietta Gnerre in anteprima.
Quello che non so di me.
(S)velarsi in versi. La misura di un nome, l’eco di un io umano in metamorfosi.
«Per non dimenticarmi chiedo perdono, / curo le cicatrici sulle mani. / Mi confesso al ramo che osserva. / Ora tutte le donne che sono stata / sono in silenzio, / le chiamo con il mio nome. / Le libero dalle parole e dai suoni / della mia vita.»
Quello che non so di me.
Una (r)esistenza, tra vita e arte. La (ri)nascita è nel sogno, in un’alba silenziosa in cui tutto è miracolosamente come deve essere.
«I nostri sogni si cercano / dalle cifre delle correnti. / Ora siamo nascosti nel miracolo di un’alba. / Ogni tanto alziamo le braccia / per sentire se siamo vivi.»
Matrice autobiografica. Trasposizione di un vissuto, rappresentazione di una fusione atavica tra l’Immaginazione e la Natura che ci circonda, specchio dell’Ideale a cui tendere.
«Mi parli delle nuvole / e non sai che le ho sigillate in un calendario.»
«Quella che vedo tra le vele dei papaveri sei tu, vanessa del cardo, voli nella cifra bassa del vento»
«Eri bambina, contavi i tigli / sussurravi alle foglie: sono foglia anche io.»
Quello che non so di me.
Il sorriso di chi scrive è negli occhi di chi legge. Il filo di Arianna è l’anima di colei che si racconta, che sa scavare dentro di sé con gentilezza, senza punirsi per le sue fragilità.
«Chiedo alla poesia, / di consegnarti l’immagine vera di me / Rileggerai tutti i versi che ho sottolineato / Non mi nasconderai più come un segreto.»
Sfoglio l’ultima pagina. Chiudo il libro.
«La gioia di quel poco che ho imparato / mi riporta al primo giorno. / Oltre ciò che sono.»
Oltre me.