Quando il 10 gennaio del 49 a.C. Giulio Cesare, alla testa di un forte esercito, attraversa il fiume Rubicone violando le leggi di Roma che impedivano l’accesso nei confini italici con le armi, Svetonio gli fa pronunciare la frase che passerà alla storia “alea iacta est”. Non credo che il grande storico e biografo romano avesse mai potuto sperare che tale frase potesse essere ancora pronunciata, a ragion veduta, addirittura nel XXI secolo.
In effetti i cantori di Vladimir Putin, presenti anche in Italia e che probabilmente sono quasi gli stessi che alimentavano i grandi cortei pacifisti rivolti a senso unico contro gli Stati uniti, possono ora tranquillamente scatenarsi nell’elevare nuovi inni rivolti alle sue magnifiche gesta di novello eroe.
Come è possibile, invece, dimenticare che questo “illuminato” governante che sta lì dal 1999, anno in cui, con Boris Yeltsin al Cremlino, assunse il ruolo di Primo Ministro, dopo essere stato ben allevato nel mitico Kgb, ad oggi ha scatenato una infinita e pericolosa sequela di guerre, in Cecenia nel 1999, in Georgia nel 2008, nella Crimea ucraina nel 2014, in Siria dal 2015, in Libia dal 2019?
Da oggi, il Presidente Putin potrà vantarsi di aggiungere una nuova tacca sul manico del suo fumante AK-47, meglio conosciuto con il nome del suo inventore, il mitico Kalasnikov.
Infatti, da oggi ha cominciato a bombardare le città dell’Ucraina, dopo una preparazione militare durata settimane accerchiando da nord, da est e dal mare il libero popolo ucraino.
Quasi duecentomila soldati russi sono stati schierati sul confine con l’Ucraina, che dal 1990 è uno stato sovrano e indipendente.
Questa mobilitazione di forze non poteva durare e quindi Putin ha dato l’ordine di invadere l’Ucraina.
La decisione è stata presa, ampiamente prevista, con precisione quasi cronometrica, dall’intelligence americana ed occidentale, dopo il riconoscimento unilaterale delle repubbliche separatiste del Donbass situate in territorio ucraino, Donetsk e Lugansk e l’invio dell’esercito con la finta motivazione ufficiale di un’iniziativa di peacekeeping, ripetendo lo schema di intervento militare già utilizzato in Georgia.
Ma il conflitto tra la Russia e l’Ucraina non è esploso senza avvisaglie precedenti. In effetti il contrasto dura ormai apertamente da otto anni, cioè da quando nel 2014, dopo la Rivoluzione di Maidan, Mosca ha invaso la penisola di Crimea e sostenuto i movimenti separatisti nella regione del Donbass, in Ucraina orientale.
In perfetto stile del vecchio blocco sovietico, Putin ha rieditato, aggiornandole ed attualizzandole, le “normalizzazioni” del 1956 a Budapest e del 1968 a Praga, quando fu messa la parola fine ai tentativi di rendere più democratica la vita pubblica, sia in Ungheria che in Cecoslovacchia.
Ma mentre allora tutto si giustificava alla luce degli accordi di Yalta, oggi non ci sono ragioni per aggredire uno stato sovrano se non lo si giustifica alla luce della famelicità di alcuni regimi autocratici, come quello russo.
Non voglio di certo giustificare, in un gioco a pendolo che serve solo a nascondere le responsabilità attuali di Putin, vecchie decisioni americane come nel caso del secondo intervento in Iraq o in Somalia anche perché, vorrei ricordare, nel 1991 gli Stati Uniti, su incarico Onu, dovettero intervenire contro l’Iraq di Saddam Hussein che aveva invaso il Kuwait, uno stato sovrano.
In via di diritto bisognerebbe fare altrettanto ora, ma ovviamente con l’Iraq era più semplice farlo che con la Federazione Russa.
Ci sono alcuni elementi in questa amara e pericolosa vicenda dell’invasione russa dell’Ucraina che meritano una riflessione.
Il primo. Putin ha illustrato la base ideologica che lo muove rilevando, addirittura, come Lenin nel 1917 avesse commesso un errore nell’individuare l’Ucraina come uno stato autonomo inserito nell’Urss. Per Putin, semplicemente, l’Ucraina come stato non esiste.
Molti ritengono che Cavour abbia sbagliato a cedere Nizza alla Francia e che gli accordi di Londra nel 1954, riconfermati ad Osimo nel 1975, fossero iniqui ed ingiusti per l’Italia prevedendo la cessione di Fiume e delle isole del Quarnaro, la quasi totalità dell’Istria e degli altopiani carsici intorno a Gorizia con la creazione del Territorio Libero di Trieste. Ma nessuno, da queste parti, si sogna di muovere guerra ai vicini confinanti. Così come nessuno, da queste parti, si è mai sognato di mandare soldati contro i russi, salvo che nel 1855. Al contrario i Russi, a più riprese, stanno mostrando una minacciosa voglia egemonica sul mar Mediterraneo, come emerge dalla loro permanente presenza in Siria e in Libia.
Il secondo. Putin immagina di paralizzare l’occidente e l’Europa, in particolare, con il ricatto di tagliare le forniture del gas, a cominciare dall’Italia. Putin, conosce la storia europea? Non credo. Gli europei sono a volte rissosi e divisi, è vero, ma l’ombrello dell’UE, se pur con evidenti deficienze, è forte e solido, come ha dimostrato di esserlo contro la pandemia. Il mar Egeo, oggi, ci da valide alternative di approvvigionamento energetico, insieme ai giacimenti in Egitto, al funzionamento del TAP (dove sono oggi quelli che incautamente non lo volevano?) e ad un aumento della produzione dei giacimenti nazionali, poco sfruttati.
Il terzo elemento è quello più preoccupante. La Cina che fino ad oggi, nel suo espansionismo planetario, ha utilizzato la carta della penetrazione economica e poco quella militare, ha assunto un ruolo, nella crisi ucraina, di attento osservatore, anche se più schierato con Putin con il quale Xi Jinping, si è incontrato in occasione dell’inaugurazione delle recentissime Olimpiadi invernali. Cosa si saranno detti? E’ facile immaginare che Putin abbia informato, seppur in modo generico, il presidente cinese delle sue decisioni sull’Ucraina, magari in cambio di un suo aiuto quando la Cina volgerà le proprie mire su Taiwan.
Sta di certo che ora che la Russia ha passato il suo Rubicone, attaccando uno stato autonomo e sovrano. dopo aver bizzarramente rimproverato la diplomazia americana di isteria con riferimento ai movimenti delle truppe russe, l’Europa e gli Stati Uniti non possono di certo stare a guardare.
L’Ucraina, si badi, si trova ai confini con l’UE e con la NATO, ma i Paesi Baltici (Lituania, Estonia e Lettonia) no, essi stessi sono il confine tra la Nato e la Federazione Russa. Oggi la Russia di Putin dice, strumentalmente, di temere un ulteriore allargamento a Est della Nato, eppure nel 2002, a Patrica di Mare, vicino Roma, il presidente Berlusconi riuscì nell’intento di far sottoscrivere addirittura un impegno di collaborazione fra la NATO e la Russia. Allora andava bene a Putin, oggi no!
Ora, probabilmente, siamo ad un punto di passaggio cruciale e qui si misurerà la capacità dei bravi nocchieri, che sono tali solo dopo aver dimostrato di aver domato il mare in tempesta. La pandemia ha sfiancato tutti, insieme alle economie. Basti pensare che la Federazione Russa, pur vantando una potente macchina bellica, è affetta da nanismo economico in quanto il suo PIL è al di sotto della Spagna, della Grecia e della Romania.
I prossimi giorni saranno decisivi per evitare che il mondo si infiammi definitivamente con conseguenze imprevedibili anche se costringere Putin a sedere ad un qualsiasi tavolo di pace sarà difficile. Ma il personaggio è particolare e non facilmente classificabile anche se gli americani gli leggono in testa, da tempo.