Mentre mi avviavo fuori di casa, mi è giunta una di quelle notizie che non avrei mai voluto ricevere.
Il presidente De Mita era passato a miglior vita! Lo ammetto, pur avendo maturato una rottura personale a partire dal 2010, le lacrime hanno fatto capolino. Troppa vita c’è stata con lui e per lui per dimenticare. La morte del presidente De Mita di colpo ha portato via una buona parte della mia vita pubblica. Potrei raccontare decine e decine di aneddoti e di storie belle e meno belle. Mi piace ricordare che è stato mio testimone di nozze, mi piace ricordare che prendeva per mano mio figlio Francesco e lo portava a vedere dove studiava da ragazzo, mi piace ricordare quando mi diceva che ero bravo, forse troppo. Prima che mio padre morisse quattro anni fa, in ospedale ad Avellino mi fece promettere che avrei trovato un modo per ricucire il mio rapporto con il presidente De Mita. Non ci sono riuscito del tutto. Lo vidi una volta a Taurasi in un convegno dove presi la parola e lui mi guardava, mi squadrava come solo lui sapeva fare. Alla fine del mio intervento non fece alcun cenno ma intravidi un piccolo sorriso che a me sembrava essere stato fatto in modo affettuoso. Come lo era sempre stato in passato con me.
Ero veramente un ragazzo quando dopo un convegno ad Avellino, alla Biblioteca Provinciale, nel 1981 mi chiamò per farmi i complimenti per il mio imberbe intervento. Da allora per la verità non ricordo più un complimento. Ma lui parlava per facta concludentia, e di fatti ce ne sono stati tantissimi.
Per me De Mita, sul piano pubblico, è stato lo studioso dei mali della politica italiana, dal “patto costituzionale” in poi, il rinnovatore coraggioso, l’acuto osservatore e analista dei problemi italiani e, per lungo tempo, la guida vera e scrupolosa di questa terra irpina.
Ma è stato soprattutto l’ago della bussola per quello che è stato il nostro partito all’epoca, la Democrazia Cristiana, da lui guidato dal 1982 fino a quel Congresso del 1989 che, nonostante un discorso finale che ho sempre considerato come un vero capolavoro, si concluse con la plastica rappresentazione dell’inizio della fine del partito indirizzando la vita politica italiana in modo del tutto insano, come i fatti successivi dimostrarono.
Ma il mio De Mita non è stato solo un uomo pubblico.
Io ho avuto un mio De Mita privato di cui ho ammirato la vita piena di sacrifici che ha dovuto fare un ragazzo di Nusco, a cominciare dal periodo del ventennio fascista e fino al dopoguerra, per raggiungere obiettivi che oggi appaiono scontati ma che, a quei tempi, erano davvero complicati da raggiungere, come quello di una laurea.
Quella giovinezza fatta di sacrifici e rinunce è un modello da indicare ai più giovani.
Insomma, io davvero ho ammirato Ciriaco De Mita in maniera sconfinata. Ho ammirato tutto, anche il modo di vestire.
Mio padre, come dicevo, è morto quattro anni fa. Qualche mese prima di morire, per la verità, parlando con lui di politica, che amava oltremodo, mi ricordò che per lui la politica aveva solo il nome e cognome di Ciriaco De Mita, e mi pregò e mi esortò a che io mi adoperassi per chiarirmi.
Mica facile, io ho un carattere particolare e non facile, lo ammetto, che, ovviamente, mi ha impedito molte volte di fare politica così come si dovrebbe.
So bene che questo mio carattere è stato ed è un mio limite. Mi frega l’orgoglio e questa è una cosa che mi porto dietro da sempre e non sono riuscito a correggerlo di molto.
Un rimprovero, non ritenuto meritato, per me diventa una mazzata su cui rimuginare e da cui non sempre riesco a riprendermi con velocità e senza strascichi umorali, mentre una pacca sulle spalle o un semplice sorriso diventano un modo per farmi andare avanti e guardare il mondo con ottimismo.
Da De Mita, per la verità, i rimproveri che arrivavano io non li prendevo come fossero una batosta o una catastrofe, io li percepivo come un insegnamento, un normale monito e qualche volta addirittura come una carezza paterna.
Voglio ricordare De Mita per la sua statura di politico ma anche di uomo appassionato della sua terra. Mi sono sempre chiesto che cosa sarebbe oggi l’Irpinia senza il suo tentativo di portare le industrie in montagna, dopo terremoto del 1980.
Il suo più grande insegnamento è stato quello di trattare i singoli problemi collocandoli sempre in un contesto più vasto e che la politica non è tale senza il pensiero. Chi non ha pensiero non può fare politica e non può aiutare persone e territori.
Addio mio presidente e lo faccio con le parole che utilizzai quando ebbi l’onore di essere candidato al Senato nel 2008 in una lista dell’UDC guidata da Ciriaco De Mita “grazie per avermi dato la possibilità di conoscermi meglio e di avermi dato la possibilità di mettermi a disposizione della nostra terra”.
“Non essere scolastico” mi disse e, ovviamente, mi arrivò un garbato scappellotto.
De Mita ha sempre citato Antonio Machado per dire che, come il poeta voleva essere seppellito con la sua chitarra per essere ricordato come tale, lui vorrà essere ricordato come un democristiano. Siamo in tantissimi su questa linea di pensiero
Oggi è morto un democristiano, il più grande di tutti. Addio, mio presidente !