Immagini. Parole.
Incastri perfetti, di figure e testo.
Forme, pura poesia che si delinea in spazi bianchi, prospettive, composizioni.
Quadri, finestre aperte sul mondo.
Meccanismi, punti di ingresso, tagli. Metafore visive per affinare lo sguardo.
Rivoluzione di una diagonale, traiettoria di moti esistenziali.
Sfoglio il libro. Divoro le pagine con gli occhi. Dei cinque sensi, la vista ha il privilegio di anticipare, catturare. Imparo a ri-conoscere, a com-prendere, per essere guidata nella costruzione delle rappresent-azioni, non (solo) sul loro significato.
Un ipnotico “dietro le quinte” delle arti visive, una narrazione affascinante. Falcinelli ci dona, con piglio affabulatorio e avvincente, un saggio sull’arte del vedere, sul perché l’uomo ha bisogno di lasciare tracce, su quanto sia importante essere lettori-fruitori-spettatori più consapevoli e meno vulnerabili all’influenza dei nuovi media.
Un volume prezioso per approfondire lo studio sulla visione e sulla dimensione culturale delle immagini. O più semplicemente, per educare lo sguardo alla bellezza.
“La prima volta che sono entrato in una pinacoteca avevo nove anni. […] All’epoca mia madre era una maestra, ed era abituata a parlare di pittura coi bambini. […] Aveva scelto un gioco […] per introdurre ai meccanismi della pittura.
[…] «Ora entriamo in una sala, ma tu devi chiudere gli occhi» […] poi una volta dentro, sempre ad occhi chiusi, mi aveva sistemato in una certa posizione. «Ecco, ora puoi guardare». Sono a pochi centimetri da una superficie dipinta.
«Che cosa vedi?» chiede mamma.
«Macchie», dico.
«Ora fai un passo indietro, adesso cosa vedi?»
«Colori. Colori pitturati».
«Va bene. Fai ancora qualche passo indietro».
Alla fine sono a tre metri da quella superficie.
«E adesso? Che vedi?»
«Uno stagno. Forse».
[ Capitolo III, Percezione, Il braccio degli impressionisti, pp 141-144 ]