La Federazione Medie e Piccole imprese della Campania, per il tramite del suo segretario regionale Nicola Di Iorio, ha inteso inviare una nota all’assessore regionale all’agricoltura della Campania, Nicola Caputo, e al Presidente dell’VIII commissione permanente del consiglio regionale, Maurizio Petracca per contribuire a creare un terreno di maggiore serenità su una questione che sta a cuore all’intero territorio regionale, quello della crescita del sistema produttivo vitivinicolo campano mediante l’introduzione della nuova denominazione di “Campania DOP” che di seguito si riporta integralmente.
La proposta si poggia essenzialmente su due pilastri:
1) elevazione a rango di DOP della IGT Campania già esistente senza indicazione di vitigni sulle etichette
2) Indicazione sulle DOP esistenti del toponimo di Campania.
Egregio Assessore,
mi consenta di farLe i miei più sinceri complimenti per aver proposto e alimentato, in modo sobrio e intelligente, un dibattito non più differibile sull’ulteriore crescita del comparto della vitivinicoltura campana, la cui qualità è innegabile ma sconta più di una carenza nella sua capacità di penetrazione dei mercati, nazionali ed internazionali.
Ricordo bene come Ella abbia posto la questione nel corso del suo appassionato e dettagliato intervento in occasione della Sua presenza a Taurasi, nel mese di marzo, per la celebrazione del trentennale del conferimento della docg al Taurasi e poi, in modo sicuramente più incisivo, al Vinitaly.
Aver posto la questione di far nascere in Campania una nuova denominazione che potesse ricondurre il consumatore direttamente al territorio regionale, anche attraverso un toponimo più conosciuto, mi sembra sia stato sicuramente importante e coraggioso in un mondo non semplice da affrontare quale in effetti è il sistema imprenditoriale che gravita intorno alla produzione vinicola.
L’indagine sul comparto vitivinicolo campano, da Lei commissionata a Nomisma, ha fatto emergere l’attuale condizione della vitivinicoltura campana che, per la verità, era già ben conosciuta.
La Campania, pur vantando una storia leggendaria nel settore vitivinicolo e ben 19 Dop (15 Doc e 4 Docg) e 10 Igp, non riesce ad essere una protagonista nel panorama della realtà produttiva e commerciale italiana, occupando una posizione di decisa retroguardia, sia come quantitativi di produzione sia come capacità di commercializzazione, a fronte di una qualità innegabilmente cresciuta in modo esponenziale negli ultimi vent’anni.
Il sistema vitivinicolo campano si caratterizza essenzialmente per la presenza di due territori delle aree interne, Sannio e Irpinia, in cui sono concentrate le quattro Docg del Taurasi, dell’Aglianico del Taburno, del Greco di Tufo e del Fiano di Avellino e che rappresentano circa il 75% della produzione vitivinicola regionale nonché la gran parte del sistema imprenditoriale di settore.
Pertanto, è giusto e doveroso che un amministratore pubblico del Suo scrupolo e capacità si ponga il problema di come poter ovviare ad una evidente poco riconoscibilità dei prodotti enoici della Campania.
Tuttavia, senza alcuna intenzione polemica da parte di chi Le scrive e dell’organismo rappresentativo che dirige sul piano regionale, ma anzi in un’ottica di assoluta collaborazione, mi permetto di osservare quanto segue.
Il rapporto di Nomisma rappresenta l’esigenza di aumentare il grado di riconoscibilità della “bottiglia campana” presso i consumatori nazionali ed internazionali.
In tale ottica sarebbe, probabilmente, necessario investire, anche con il prezioso e professionale concorso dei Consorzi di Tutela presenti in Campania, un po’ di più e in modo più mirato sulle singole denominazioni presenti nei territori della Campania per aumentarne la reputazione, la riconoscibilità e la connessione prodotto/territorio.
Pertanto, è proprio il rapporto di Nomisma che restituisce la necessità di spingere ancora di più il piede sull’acceleratore di investimenti più concentrati sulle denominazioni esistenti per renderle più riconoscibili anche attraverso una loro maggiore connessione con il territorio da cui traggono vita che, nella gran parte dei casi, coincide, come si diceva innanzi, con quello delle aree interne della Campania, Irpinia e Sannio, in particolare.
Naturalmente, sarebbe probabilmente opportuna ed auspicabile una sinergia, ancora più forte e stretta, anche con altri comparti tematici che in qualche modo potrebbero contribuire a fare massa critica, come quelli del turismo, dell’ambiente e dei trasporti.
La proposta di una nuova denominazione, dall’accattivante nomen di “Campania Dop”, è sicuramente da tenere ferma sul terreno della discussione e del confronto e Lei fa bene a tenerla al centro del dibattito.
Tuttavia, mi permetta ancora di ribadire la mia proposta, anche a nome dei miei associati che si occupano del settore, come ebbi già modo di prospettare nel convegno di marzo a Taurasi.
È fuor di dubbio che vada riconosciuto, in modo esplicito e non equivoco, alla Regione Campania di aver svolto un ruolo propulsivo e insostituibile in questo campo, per garantire ai consumatori nazionali ed internazionali non solo la quantità produttiva ma, soprattutto, la sua qualità.
Premesso che tale nuova denominazione, suggestiva da un lato, rischierebbe però, dall’altro lato, di sovrapporsi alle denominazioni già esistenti, massificando e diluendo in un unicum indistinto territori e vini che hanno fatto e fanno della diversità, nel rispetto dei disciplinari di produzione e della stessa ragion d’essere dell’esistenza delle denominazioni, un punto di forza.
Su questo punto, soprattutto nelle aree interne della Campania, gli investimenti di provenienza privata, affiancati da quelli pubblici, soprattutto regionali, non sono stati né pochi e né trascurabili.
Quindi, se per creare le condizioni di una maggiore riconoscibilità si volesse continuare a seguire la strada di una nuova denominazione riterrei che tale risultato, in coerenza con quanto emerso nel rapporto di Nomisma, potrebbe essere conseguito aggiungendo, e non certo sostituendo, sulle etichette delle singole DOP, il toponimo di “Campania”.
Sarebbe una soluzione che non penalizzerebbe le denominazioni esistenti e, in questo modo, si otterrebbe il vantaggio di avere impressa sulla etichetta sia il nome della denominazione che quello, a questo punto certamente rafforzativo, di “Campania”.
È fuor di dubbio che tale toponimo sia sicuramente più conosciuto di quello, per fare qualche esempio, di Taurasi, del Taburno o di Tufo ma, si badi, resta comunque un toponimo meno conosciuto rispetto ad altri, ben più celebri nel mondo, come Napoli, Pompei, Vesuvio, Sorrento o Capri., alcuni dei quali concorrono già a dare il proprio nome ai vini locali con un successo tutto da verificare.
La scelta di affiancare il toponimo di Campania con i nomi delle singole denominazioni avrebbe anche l’innegabile vantaggio che non potrebbe impedire, laddove se ne riscontrasse la necessità, di arrivare al riconoscimento di una nuova denominazione di “Campania dop”, magari elevando dall’attuale condizione di IGT a DOP ma, per evitare inutili e dannose confusioni, senza indicazione del vitigno. In questo modo, non sostituirebbe e non si sovrapporrebbe alle attuali produzioni ma ad esse si aggiungerebbe, a questo punto senza alcun intralcio.
Egregio Assessore, La ringrazio per l’attenzione che vorrà riservare a questa nota e, fin da ora, resto a disposizione, in un’ottica di collaborazione per garantire l’interesse dell’intero territorio regionale, per ogni ulteriore e più approfondita riflessione.
L’occasione è gradita per porgerLe i miei personali saluti e quelli della organizzazione che ho l’onore di dirigere.