Amo Piera Ventre, i suoi libri.
La sua scrittura è un incessante atto introspettivo, una raffinata analisi in prosa per s-comporre le emozioni contrastanti che agitano l’animo umano, il perturbante, quel sentirsi spaesati, angosciati, spaventati, senza alcuna causa apparente.
Zucchero – la sua recente pubblicazione edita da Marotta&Cafiero editori – collana Le Zanzare -, è un gioiellino letterario.
È la storia di due gemelle, Lora ed Enni, del loro trasferimento in una casa di periferia nei pressi di uno zuccherificio, di un padre che le ha abbandonate, ma non si deve sapere (per chiunque 𝑒̀ 𝑚𝑜𝑟𝑡𝑜), di una sparizione drammatica improvvisa presso un piccolo stagno, tra le rane.
Una fabula per affrontare il tema del doppio nella fase di passaggio dall’infanzia all’adolescenza, di quei fatti che narrano un destino per dare voce al quel qualcosa di vago e indefinito che appartiene alla nostra interiorità.
In un rimando a specchi e riflessi, all’atavico contatto che prelude al distacco, i protagonisti di questa piccola storia amara (nessuno escluso, lettori compresi) fronteggiano l’in-conscio, il dolore di una perdita o un generico disagio esistenziale, il trauma degli affetti negati nella fase della crescita, la paura della morte, le sfumature in chiaroscuro delle loro personalità, il rancore per certi accadimenti, ma soprattutto il desiderio di provare, almeno una volta nella vita, la vertigine dell’unicità.
Ammetto che faccio un po’ fatica a staccarmi da questo volumetto, ben curato nella stampa, nella scelta della carta e delle fotografie che lo corredano.
Se dovessi paragonare questo testo ad una partitura musicale, sceglierei l’Estate di Vivaldi, se dovessi unirlo ad una poesia, indicherei alcuni versi di Montale, «Non domandarci la formula che mondi possa aprirti / sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. / Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».
Sfoglio ancora una volta le pagine, la mano si ferma sempre in quel punto, proprio lì, dove Lora ed Enni si scambiano quell’occhiata di stupore e…
«La ricordi la storia del drago che non poteva piangere né urlare?» le domandai. Era in uno dei nostri libri di lettura. Lei sorrise.
«Il povero drago sapeva che se avesse pianto oppure urlato avrebbe sparso fuoco, e quindi doveva tenersi dentro la tristezza e il dolore» disse.
«Della dolcezza del drago non importa niente a nessuno» le feci io «Pare che sputi fuoco, e invece piange.»
Mia sorella mi accarezzò una mano.
«A qualcuno importa» disse «Secondo me qualcuno sa che quando gli scappa il fuoco è proprio perché non ce la fa più a tenere le lacrime nascoste.»
Fragili nella notte buia siamo.