Vinitaly, la manifestazione fieristica più importante del mondo del vino italiano, ritorna dal 14 al 17 aprile nella tradizionale cornice della Fiera di Verona, e spegne ben 56 candeline.
L’anno scorso, come è noto, fu l’edizione che riaccendeva i motori dopo il triste periodo della pandemia che aveva interrotto un periodo precedente fatto di risultati lusinghieri per il mondo del vino italiano che non solo aveva consolidato la sua posizione di vertice quale maggior produttore di vino al mondo, seguito dai cugini francesi, ma aveva anche scalato posizioni in ogni angolo del mondo occupando sempre più nuove fette di mercato.
Con l’avvicinarsi della data di Vinitaly è tradizione consolidata fare delle analisi sulle tendenze, sui gusti, sui consumi e sul grado di penetrazione commerciale del vino italiano nel mondo.
Gli ultimi dati restituiscono un export di vino italiano che ha chiuso il 2023 con una flessione dell’1% nei volumi (21,4 milioni di ettolitri) e dello 0,8% nei valori, a poco meno di 7,8 miliardi di euro.
L’Osservatorio Uiv-Ismea ha evidenziato che si tratta del terzo bilancio annuale in negativo registrato in questo nuovo secolo, dopo la crisi economico-finanziaria del 2009 e l’effetto Covid del 2020.
Ma al contrario dei due precedenti, rileva l’Osservatorio, il dato di quest’anno evidenzia difficoltà determinate non solo da variabili dovute a motivazioni contingenti ma anche da fattori di ordine strutturale, che sembrano essere peraltro condivisi anche da tutti i principali Paesi produttori. L’Italia, nonostante tutto, si conferma nella sua leadership mondiale, in quanto a volumi esportati, con la Spagna che scende a poco più di 20 milioni di ettolitri (-4,1%).
Il calo che si è registrato, è bene precisarlo, è avvenuto dopo un biennio di crescita (+26% nel 2021 post-Covid e +6.6% nel 2022, su cui hanno fortemente impattato le problematiche internazionali che hanno fatto impennare i costi energetici e quelli delle materie prime oltre che la dinamica inflazionistica).
Nel mondo si consumano circa 280 milioni di ettolitri di vino. Oltre la metà di questi volumi di consumo si realizza in pochi Paesi, come gli Stati Uniti (14%), seguiti da Francia (10%), Italia e Germania (7%), quindi Cina (6%) e Regno Unito (5%) e dopo Canada (2%) e Giappone (1%).
Questi Paesi costituiscono il cemento armato dell’export italiano di vino. Il 64% a valore, con in testa gli Usa (24%), seguiti da Germania (15%), UK (10%), Canada (6%), Francia (4%), Giappone (3%), con fanalino di coda la Cina (1,5% di quota), Paese a cui da più di un decennio si è guardato con molta attenzione, ma che negli ultimi tre anni ha rallentato fortemente i ritmi di importazione e anche di consumo.
E’ possibile notare un fenomeno del tutto particolare. Si sta registrando una evidente contrazione commerciale per quanto riguarda soprattutto le vendite di quelle tipologie di vini appartenenti ad aree produttive che rappresentano la bandiera del made in Italy enologico.
L’Italia, è bene non dimenticarlo, è un grande continente vinicolo con tanti timbri espressivi che sintetizzano la storia e la cultura millenaria dei singoli territori italiani. Proprio in questi luoghi le difficoltà in ordine alla commercializzazione internazionale del vino si fanno sentire con maggiore virulenza se si guarda, soprattutto, ai vini fermi a denominazione in bottiglia che hanno registrato, come volume, un -6,2%, per le Dop, e un -4,3%, per le Igp.
Tuttavia, tale flessione è meno evidente se rapportata a quella dei cugini francesi, che ha conseguito un risultato che si attesta, rispettivamente, a -11% e a -8%.
Quindi, è abbastanza evidente, a soffrire sono soprattutto i vini rossi che scendono dell’8%, per le Dop, e del 6%, per le Igp. Tale risultato negativo, purtroppo, si accompagna anche a quello delle esportazioni di vini comuni in bottiglia (-9%). Il quadro complessivo, calato nei singoli territori, presenta, e non poteva essere altrimenti dati altrettanto poco lusinghieri se, per esempio, si fa riferimento al -12,5% (volume) per i rossi Dop veneti, al -10,5% per i toscani, al -5,5% per i piemontesi. Sul versante bianchi – che vedono i Dop a -4,7% e gli Igp a -1,3% – gli Stati Uniti chiudono a -5%, controbilanciati dal +3% del Regno Unito (dove però fanno malissimo i veneti Dop, a -10%) e dal +2% dei Paesi Bassi. Stazionaria la Germania.
Ovviamente anche la Campania, pur vantando una storia leggendaria nel settore vitivinicolo e ben 19 Dop e 10 Igp, soffre dal punto di vista della capacità di penetrazione dei mercati, nazionali ed internazionali, come ha evidenziato una recente ricerca di Nomisma e occupa una posizione di decisa retroguardia, sia come quantitativi di produzione sia come capacità di commercializzazione, a fronte di una qualità innegabilmente cresciuta negli ultimi vent’anni.
Il 2023 si è caratterizzato, invece, per un forte incremento di vini sfusi (+12%), destinati soprattutto alla Germania, la cui incidenza sulla tipologia pesa per quasi 2/3 delle esportazioni.
L’edizione del prossimo aprile di Vinitaly arriva al momento giusto per fare un bilancio su questi dati che presentano elementi di preoccupazione ma possono anche essere tali da calibrare meglio le prossime strategie commerciali.
Questa edizione, ho l’impressione, avrà bisogno di scrutare bene il futuro del settore per non farsi trovare impreparati nel futuro.