A che serve la libertà politica per chi dipende da altri nel soddisfare i bisogni elementari della vita?

Partiamo da questo è precisato nel titolo di questo contributo per dire che nelle moderne democrazie c’è bisogno sicuramente di bilanciare il concetto dei diritti.

L’intero Paese e la nostra Regione stanno attraversando una crisi economica durissima che ricade su tutti i cittadini e, in misura maggiore, su quelli più poveri e fragili. Diventa, quindi, insostenibile il dibattito del solo rilancio dell’economia, così come da concezione classica tra domanda e offerta. Questo modello non è sufficiente e produce troppe diseguaglianze. Si rende necessario, allora, ripensare a un modello inclusivo che ridia centralità alle persone non riducendole a meri consumatori. Tutto questo è possibile a cominciare dal ridisegnare un modello di istruzione pubblica orizzontale che accompagni i ragazzi/e verso una crescita nella sua circolarità non ritenendo l’elemento prestazionale modello di riferimento, che tanti danni ha prodotto. Investire nelle scuole, nell’università, nella ricerca, sanare il furto del futuro fatto alle nuove generazioni è un dovere etico.

Pandemia vecchia e pandemie nuove in agguato, con evidente insufficienza a fronteggiarle con strumenti vecchi; politiche forti, quindi, oso dire rivoluzionarie, che invertano il paradigma dello Stato leggero, la corsa alla sanità pubblica nel periodo più acuto della pandemia definendo eroi gli operatori è la prova che, almeno il diritto alla salute, non va negoziato.

Aver vissuto un trauma significa che nulla sarà più come prima, che dobbiamo risvegliarci dal “razionale”. Abbiamo vissuto uno smarrimento totale al confronto con l’imprevedibile. Cosa ne ricaviamo da questa lezione? Ansia di ritornare all’assurdo? Correre per fuggire da noi, verso la riconoscibilità sociale; e Noi?

Gli ultimi, si chiamano così, come a configurarne il posto, a rendere una chance, ma senza pretendere troppo, anche se si chiamasse dignità.

Politiche sempre marginali nel dibattito politico nazionale che rincorre logiche finanziarie ed economiche che nulla hanno a che fare col benessere e col bene comune.

Tale situazione viene resa ancora più difficile col governo regionale, che, in mancanza di Liveas cosi come definiti dall’art 22 comma 1 e comma 2 della legge 328/2000.

A farne le spese di questa situazione sono soprattutto i Comuni e gli ambiti territoriali della Campania, che finiscono così solo per certificare la morte del Welfare, cioè l’impossibilità di garantire i servizi ai cittadini e il collasso del lavoro sociale.

I bisogni fondamentali delle persone disabili, dei bambini e delle bambine, degli anziani e delle anziane, delle persone migranti, il contrasto a tutte le forme di esclusione a partire da quella fondamentale della povertà, richiedono scelte forti e coraggiose, a partire dalla certezza in sede di bilancio regionale di una quota finanziaria capitaria per garantire in modo universalistico l’effettivo esercizio dei diritti sociali.

Rendere esigibili i livelli essenziali di assistenza sociale non significa assistenzialismo, bensì innescare dei processi in cui le persone acquisiscano consapevolezza della loro condizione di vita, delle proprie risorse, che facciano esperienza di partecipazione, di comunità e di autonomia. Solo così si sviluppano reali dinamiche liberanti e di emancipazione e non ulteriori forme di dipendenza. E questo da tutti i punti di vista: sociale, culturale ma anche e soprattutto economico. Solo così è possibile sviluppare nuova cittadinanza, intesa come rispetto delle regole, ma anche come possibilità di ridefinizione di un nuovo patto sociale più giusto, più equo, più solidale.

Per questo diventa fondamentale anche riaffermare con forza la dignità del lavoro sociale. Agli operatori sociali è richiesto un livello altissimo di competenze, di motivazione di testimonianza.

Risulta evidente quanto sia necessaria ed indispensabile, allora, formazione di qualità, retribuzione giusta, continuità. Sembra paradossale, invece è solo un ulteriore scandalo, dover denunciare allo stesso tempo, la condizione di estremo disagio che vivono i più deboli e quella di chi dovrebbe offrire percorsi di aiuto, sostegno, accompagnamento. Invero, è necessario in questa fase delicata della vita politica ed amministrativa che la Regione Campania, ente che ha competenza legislativa primaria in materia di politiche sociali, sappia invertire il paradigma delle politiche assistenziali, dando il nome proprio di politiche di sviluppo e di democrazia, negata in mancanza di diritti essenziali esigibili.

Superamento della forma associata degli ambiti territoriali, che a 20 anni dalla legge ha evidenziato tante difficoltà: responsabilità dei comuni in perenne contrasto politico, difficoltà a garantire le risorse con i bilanci dei comuni capo-fila, tutto questo con l’esito sconcertante che ad oggi si parla ancora di pagare servizi resi nel 2014-15 con buona pace degli operatori, che nel mentre sono precipitati in povertà e disperazione.

Poter allineare i Lea sanitari e Liveas sociali rappresenta un punto irrinunciabile per la nostra comunità, se non si vuole la balcanizzazione del nostro Paese, e non riguarda solo la parte finanziaria da garantire col Fondo Nazionale Politiche Sociali, ma soprattutto la dignità di ogni singola persona (unica e irripetibile)al di là di ogni aggettivazione.

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